Putignano - In 60 verso il licenziamento: ieri il sit-in di protesta dei lavoratori Mafrat
Manifestazione e tavolo con i sindacati ieri alla presidenza della Regione. Ma forse si è aperto un nuovo spiraglio
Putignano Ba - I lavoratori della storica azienda putignanese, senza stipendio da mesi, si sono dati appuntamento sotto la presidenza della Regione Puglia in via Nazario Sauro ieri (salutati dal Governatore Michele Emiliano), e hanno atteso di conoscere l’esito dell’incontro per sapere a quali sorti essi siano destinati.
Ma procediamo con ordine. Il 4 marzo scorso la Mafrat, azienda di lunga tradizione nel settore della manifattura tessile putignanese (fondata nel 1946), ha avviato la procedura di licenziamento collettivo (L.223/91) per cessazione attività nei confronti di 71 lavoratori, ridotti oggi a 60 unità a seguito delle dimissioni di 11 lavoratori, dichiarando al tempo stesso di voler presentare richiesta concordato preventivo in tribunale.
Si tratta di una delle poche aziende sopravvissute alla grande crisi del tessile che negli ultimi 25 anni ha causato la chiusura di altre ditte putignanesi. Qualche settimana fa invece la Mafrat ha annunciato il licenziamento per cessazione attività di tutte le maestranze, a causa di perdite finanziarie e per circa 4milioni di euro (al 2017).
Un fatto del tutto inatteso se si pensa che solo qualche anno fa l'impresa fondata dalla famiglia Totaro, annunciava il rilancio delle attività con l'acquisizione di produzione di marchi nazionali come Ferrari, Biagiotti, Ferré, Billionaire, oltre all'apertura di 70 nuovi propri punti vendita i negozi «Cuore» in tutta Italia. La Mafrat si era inoltre affacciata sul promettente mercato russo inaugurando un negozio a Mosca.
Nei giorni scorsi invece sono stati avviate le procedure disciplinari per 71 dipendenti operai impiegati: praticamente tutto il personale. Nel 2018 la Mafrat aveva già cercato di fronteggiare la crisi con i contratti di solidarietà (al 40%) ma la situazione non è migliorata.
Senza altri ammortizzatori sociali dopo la conclusione del rapporto di lavoro, ai lavoratori non resterebbe che la «naspi». Le organizzazioni sindacali però non accettano i licenziamenti e visto l'utilizzo del contratto di solidarietà in corso al 40%, propongono soluzioni alternative pur di avere continuità occupazionale.
Visti gli incontri infruttuosi svoltisi in sede aziendale e di Confindustria Bari-Bat, a seguito di incontro su convocazione di Arpal Puglia del 23 aprile e la successiva assemblea con i lavoratori, nonché il successivo incontro del 26 aprile presso il Comitato Monitoraggio Sistema Economico Produttivo ed Aree di Crisi presso la Regione Puglia, i lavoratori, congiuntamente con i sindacati e le rappresentative sindacali di Puglia e Bari, hanno deciso di manifestare il proprio dissenso con un sit-in programmato per la giornata di ieri innanzi alla sede della presidenza della giunta regionale in Lungomare Nazario Sauro a Bari.
Obiettivo di tale attività è quella di ottenere almeno la cassa integrazione straordinaria recentemente ripristinata da questo governo (che era stata abrogata dal governo Renzi). Tenuto anche conto del fatto che i lavoratori lamentano alcune mensilità arretrate di stipendio.
Il tavolo è stato aggiornato a venerdì 3 maggio in Confindustria e a lunedì 6 maggio nuovamente dinanzi alla task-force regionale, ma con lo sprono delle organizzazioni sindacali si sono perlomeno riaperti i margini per una trattativa con l’azienda in procinto di procedere con la richiesta concordato preventivo, la quale ha prospettando un piano che tenga conto della situazione dei 60 esuberi.
A tale scopo è stato richiesto qualche giorno di tempo per dettagliare il piano e dare risposta ai licenziamenti. Circostanza questa che riapre la possibilità di far ottenere ai lavoratori licenziati almeno la cassa integrazione straordinaria.