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Bukowski con le scene di Michele Iannone all’Abeliano di Bari

Scritto da di Marilù Epifani L.

Una spazio scenico triangolare, con pareti alte dipinte di chiaro, una porta, un carrellino portafarmaci, una barella di obitorio

Bari - Così torna in vita Bukowski, lo scrittore “maledetto”, lo scrittore associato al movimento letterario del “realismo sporco”, sorto negli Stati Uniti negli anni settanta. Le scene sono dello scenografo putignanese Michele Iannone, che ha saputo realizzare al meglio le idee della regista. Del resto la collaborazione pluriennale di Iannone con l’Abeliano è segno evidente che le sue realizzazioni funzionano.

Ad interpretare “Blue Bird Bukowski” è Vito Signorile, che steso su una barella di obitorio, riprende possesso della vita per esaudire i suoi ultimi desideri. Bukowski l’ubriaco, il barbone, il violento, lo sporcaccione, attratto dagli eccessi per sentirsi vivo, ossessionato dalle donne, che usa il sesso per allontanare la morte, ma anche il Bukowski disperato, sofferente, vittima delle violenze, che ha paura che le donne “buone” gli rubino “l’anima”.

Vito Signorile, con una interpretazione esemplare, trasmette tutte queste sensazioni. Lo sguardo parla prima delle parole e diventa il primo mezzo veicolatore delle emozioni; le parole vivono da sole, la gestualità e i movimenti del corpo accentuano le parole.

Mary Dipace, regge bene il confronto con Vito Signorile, maestro del teatro, interpretando l’infermiera - vigilante con l’animo arido, personaggio apparentemente contrapposto ma in realtà simile a Bukowski. La Dipace supera le barriere dell’inibizione e indossa “il nudo”con eleganza.

La barella dell’obitorio è usata dagli attori in vario modo. Non è solo il posto dove si deposita la salma, ma si trasforma, diventando a volte mezzo per dettare i tempi, a volte barriera che allontana, a volte mezzo di sfida, a volte avvicina come fosse una panchina qualunque dove sedersi e colloquiare fino a diventare il posto dove con l’amplesso si contrappone la vita alla morte.

Il tutto sottolineato dalle luci disegnate da Vincent Longuemare. Favolosi i giochi di ombre che a volte sembrano altri personaggi. I passaggi da un disegno di luci all’altro, tenui o di impatto, accompagnano lo spettatore dentro la storia.

Il testo di Riccardo Spagnulo, essenziale, chiaro, diretto, non lascia spazio a dubbi di interpretazione. Altrettanto mirata ed essenziale è la regia della giovane talentuosa Licia Lanera, che “ama e produce il teatro senza mezze misure”. La regia non invade i personaggi ma si limita a modellarli nel giusto.

Uno spettacolo in cui vince il “teatro ben fatto”, che fa incontrare due generazioni diverse che non si sfidano ma lavorano in sinergia, dove l’esperienza pluriennale di Signorile si mette al servizio del teatro moderno senza diventarne mai servo e il teatro moderno, a sua volta, lo rispetta.

Qui di seguito le brevi interviste a Vito Signorile, Mary Dipace e Licia Lanera.

Vito Signorile. Come nasce questo progetto e come è stato farsi dirigere da una giovane regista?

Tutto il progetto è stata una sperimentazione. Chi mi conosce sa che io ho sempre avuto un rapporto privilegiato con i giovani. Bukowski era un mio vecchio pallino. Quando ho individuato Riccardo Spagnulo, ottimo scrittore per suoi testi personali, gli ho chiesto se aveva voglia di mettersi in discussione con me ovvero fare il drammaturgo cioè scrivere per un altro. Scommessa vinta perché ho scoperto un testo bellissimo del quale mi sono subito innamorato. Con Licia è stata la stessa cosa. Licia l’ho apprezzata innanzitutto come attrice, perché io non credo ai registi che non siano anche attori, poi si è rivelata, ottima regista, attenta, precisa, puntuale, rispettosa dei ruoli e quindi alla fine siamo soddisfatti entrambi di questo esperimento. Abbiamo avuto un riscontro positivo sia dal pubblico che dalla critica. A proposito di Licia ricordo con piacere quando, ha fatto un laboratorio in nome e per conto dell’Abeliano. Il nostro, quindi, è un rapporto bello e pluriennale”.

Perché vedere Blue Bird Bukowski”?

Quando tu riesci a dare delle emozioni al pubblico, il pubblico è contento e ti segue. Non cascate nella trappola dei generi teatrali. Sono chiacchiere. Esistono due generi di teatro: quello ben fatto e quello fatto male. Quello ben fatto significa che riesce a dare delle emozioni e per dare delle emozioni bisogna provarle. Io ho sempre avuto una convinzione profonda. Spesso nei miei laboratori dico ai miei allievi: mentre nella vita possono prendermi in giro, mentire ed io posso anche non accorgermene, sulla scena è difficile mentire. Si crede che la scena è il posto dove si recita, non è così. Sulla scena si dicono tante verità rispetto alla vita. La vita è una grande recita continua, grande ipocrisia, grande finzione. Sulla scena o ci sei o non ci sei. Venite a vedere Bukowski perché regala emozioni. Mi piace dire alla gente: andate al teatro che fa bene alla salute. Al teatro sempre e comunque, perché il teatro è l’ultimo baluardo della dimensione a misura d’uomo”.

Mary Dipace. Come è stato essere in scena con un grande come Vito Signorile?

È stata un’esperienza molto bella perché il mio personaggio è un po’ controverso, è contrapposto a quello di Bukowski ma in realtà non sono molto diversi e poi affronta anche lei una resurrezione, una crescita, un cambiamento. In quanto attore, Vito mi ha messo a mio agio. All’inizio ho sentito l’imbarazzo del divario di quantità di anni di palcoscenico, insomma una specie di timore reverenziale rispetto a Vito che oltre ad essere attore è anche una istituzione del teatro a Bari. Comunque, poi ho superato il mio imbarazzo. Non ho trovato da parte sua nessuna presunzione e le cose sono andate molto bene”.

Da quanto tempo reciti?

Recito da una decina d’anni. Mi sono avventurata in questa magnifica arte che è il teatro. È una cosa a cui non ho potuto dare ascolto a vent’anni quando non era sostenuta dalla famiglia, per cui ho fatto altre scelte. Poi, quando tutto è dipeso da me, ho ripreso il discorso. Anche perché quando la cosa c’è, c’è e basta. Non si sta bene se non si dà voce a quello per cui si sente di essere portati. Non trovo mai un pretesto per smettere ma trovo sempre un motivo per continuare”.

Licia Lanera. La stessa domanda che ho fatto a Signorile: come è stato dirigere un attore come Vito Signorile?

Avevo un sacco di riserve, perché ho 30 anni di esperienza in meno rispetto a lui e più o meno stessi anni in meno di età. Poi essendo il direttore di un teatro nonché regista, poteva essere anche quello che voleva auto-dirigersi oppure uno di quelli che si allontanano per parlare al telefono, che arrivano tardi, ecc.. In realtà lui si è messo totalmente a disposizione. Arrivava puntuale ogni giorno, telefonino spento, sempre preciso con la memoria. Quindi non ho mai sentito questo divario perché lui si è messo in gioco veramente, non ha mai voluto fare di testa sua, ha aperto il corpo e il cuore ed io ho potuto lavorare su di lui con una tranquillità e un piacere pazzesco. Lui stesso prendeva gli input che io gli davo e li rielaborava in maniera straordinaria (è così che si vede la grandezza di un attore)”.

Con Mary Dipace, invece, come è andata?

Con Mary è la prima volta che ci siamo trovati in una produzione più grossa. Mary all’inizio aveva un po’ di ansia da prestazione anche perché si confrontava con un regista e attore come Vito Signorile. All’inizio ho fatto un po’ di fatica, anche perché lei stessa aveva un po’ di inibizione, doveva affrontare il nudo, scene di violenza, tutte cose che molte attrici si rifiutano di fare. Lei invece è stata estremamente generosa, un po’ di paura iniziale ma poi, pian piano, si è liberata”.

È stato difficile affrontare uno scrittore come Bukowski?

“Bukowski è un uomo che non conosceva le mezze misure e a noi piace lavorare senza mezze misure. C’era il rischio di entrare in un Bukowski soltanto iconografico (solo quello che ama gli eccessi del bere, del sesso, ecc, ndr) ma era anche un personaggio profondamente sensibile che aveva subito violenze dal padre. Riccardo Spagnulo ha cercato di individuare questi momenti di umanità che poi ci interessano nei nostri lavori; c’è una dimensione spinta, ma sempre pregna di emozioni forti e quasi sempre a condonare la “bestia cattiva”. Quindi il “porco” è anche una persona buffa, tenera, che fa commuovere e noi abbiamo cercato di far vedere anche questo aspetto”.

Come è stata la regia?

Ho fatto una regia molto semplice, molto asciutta perché il testo di Riccardo era così solido che già raccontava tutto, non ho voluto inserire niente. Ho concentrato le mie energie a immaginare uno spazio importante e giusto per questo lavoro. Io immagino ma non so realizzare nulla. Il lavoro con Michele Iannone è stato ottimo; ha messo su carta tutte le mie richieste con tutti gli elementi che io volevo. Iannone ha quella lucidità del palcoscenico che a me manca. Tutto ha funzionato bene, perché non c’era la voglia di nessuno di prevaricare sull’altro. Il testo ha fatto la sua parte, la regia doveva stare a servizio del testo e gli attori al servizio della regia. Questo è stato e per questo la macchina ha funzionato. È la magia del teatro”.

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